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Lorenzo Valla
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== La vita == [[File:Lorenzo Valla.JPG|thumb||right||prova|]] Lorenzo Valla nacque a Roma nel 1407 da famiglia piacentina. Gli furono maestri Giovanni Aurispa e Ranuccio da Castiglion Fiorentino. Egli, con la vivacità dell'ingegno, dimostrò subito il suo anticonformismo, sostenendo in un opuscolo andato perduto (De comparatione Ciceronis Quintilianique) che Quintiliano era da considerarsi superiore a Cicerone . Nel 1429, dopo inutili tentativi di trovare una sistemazione nella curia pontificia lasciò Roma e, dopo un breve soggiorno a Piacenza, si recò a Pavia per insegnarvi eloquenza (1430-33). Compose nel 1431 il trattato “De voluptate”, dialogo nel quale il Bruni sostiene la morale stoica, il Panormita la morale epicurea , e il Niccoli cerca di conciliare le due opposte tesi. Il pensiero di Valla non disprezza la morale cristiana che indica per fine dell'uomo la beatitudine celeste, ma ritiene che la virtù derivi dalla naturale tendenza dell'uomo al piacere che, nella sua essenza, non è da respingere. C'è un diletto spirituale e c'è anche un diletto fisico, che sono conciliabili nell'uomo sano e saggio. Per dissensi col Panormita, appena un anno dopo, il Valla pose mano a una nuova redazione del trattato, col titolo De vero bono, cambiando tutti e tre gli interlocutori, e successivi mutamenti apportò negli anni dal 1434 al 1441, cambiando nuovamente il titolo (De vero falsoque bono). Nel 1433 dovette lasciare Pavia per aver suscitato con un suo opuscolo le ire dei giuristi locali, per poi vagare in varie città, fra le quali Milano, Genova e Firenze quando finalmente nel 1435 fu accolto come segretario alla corte del re Alfonso d'Aragona, che conduceva la guerra per la conquista del regno di Napoli. Negli anni anteriori all'entrata del re a Napoli (1443) il Valla compose il De libero arbitrio, i tre libri della Dialecticae disputationes, dove prende posizione contro gli scolastici e l'aristotelismo, l'opuscolo De falso credita et ementita Constantini donatione, e il dialogo De professione religiosorum. Con le sue opere, il Valla si crea nemici dappertutto; dovette far fronte anche all'accusa di eresia, dalla quale si difese scrivendo un'Apologia indirizzata al papa Eugenio IV. Nel 1448 lasciò Napoli e si stabilì a Roma, dove finalmente fu accolto come segretario apostolico nella curia pontificia, e insegnò eloquenza nello Studio. A Roma morì nel 1457. L'opera più famosa del Valla sono le Elegantiae della lingua latina in sei libri, a cui lavorò gran parte della sua vita, e già divulgate nel 1444; quest'opera segna un momento molto importante nella storia dell'Umanesimo. Il Valla trae dalla sua vasta esperienza dei classici latini, e specialmente da Cicerone e Quintiliano, gli esempi per attuare l'eleganza stilistica dello scrivere latino, dettando le norme per l'uso moderno e mostrando disdegno non solo per il latino medievale, ma anche per quello degli umanisti suoi contemporanei (Bruni, Bracciolini, Fazio, ecc.), padroni di un latino piuttosto empirico. Di qui le aspre polemiche che spesso degenerarono nello scambio di insulti e vituperi, specialmente col Fazio (1446) e col Bracciolini (1452-53). Lo stesso Valla, nella storia di Ferdinando I, (Historiarum Ferdinandi regis Aragoniae libri tres), narrando con vivacità e divertimento dello gli episodi descritti, non esita a far uso di un latino meno regolato e meno elegante, ma indubbiamente più vivo e "moderno". Lorenzo Valla fu un personaggio di eccezionale importanza non solo per la cultura italiana, ma soprattutto per essersi dimostrato il rappresentante del più puro Umanesimo europeo. Con le sue spietate critiche alla Chiesa romana dell'epoca fu un precursore di Lutero, ma fu anche il promotore di molte revisioni ideologiche e stilistiche di testi cattolici. La sua opera si basa su una profonda padronanza della lingua latina e sulla convinzione che sia stata proprio un'insufficiente conoscenza del latino la vera causa del linguaggio ermetico ed ambiguo di molti filosofi. == Le opere == Valla fu sempre convinto che l'uso corretto della lingua fosse l'unico vero mezzo di comunicazione ed acculturazione: la grammatica ed un appropriato modo di esprimersi stanno alla base di ogni enunciato e, prima ancora, della sua formulazione intellettuale. Da questo punto di vista i suoi scritti sono tematicamente coerenti, in quanto ciascuno di essi si sofferma innanzitutto sulla lingua, sull'uso corretto della lingua e sulle erronee interpretazioni della grammatica latina. Oggi il profondo distacco storico permette di distinguere le opere di Lorenzo Valla essenzialmente in due filoni, quello critico e quello filologico. Sebbene avesse saputo mostrare eccezionali doti di storico negli scritti critici, questa capacità non è però riscontrabile nell'unico lavoro definito storico, cioè nella biografia di Ferdinando d'Aragona, tutto sommato un modesto elenco di aneddoti e sentito dire.Nelle sue opere Lorenzo Valla utilizza la filologia come strumento di conoscenza. Tra le sue produzioni ricordiamo: - ''De vero falsoque bono'' (1431) e ''De Voluptate'' (1431) nelle quali Lorenzo Valla si avvicina al pensiero epicureo di Lucrezio, sottolineando come tutta la vita dell’uomo sia fondamentalmente volta al piacere, inteso non come piacere fisico ed effimero, ma come dimenticanza delle passioni e delle cose che turbano, con l’inevitabile e conseguente - benessere interiore. - ''Dialecticae disputationes'' (1439) ove Lorenzo prende posizione contro l’uso della dialettica da parte della filosofia Scolastica. - ''De falso credita et ementita Constantini donatione'' (1440), nella quale Valla dimostrò che l’atto di donazione di Costantino a Papa Silvestro fosse falso: non poteva risalire, per ragioni filologiche, al quarto secolo dopo Cristo ed era invece opera di una contraffazione avvenuta secoli dopo. Veniva così posto in discussione, con gli strumenti della filologia e dell’erudizione, lo stesso potere temporale che i papi facevano risalire a Costantino. Valla dimostra la contraffazione del documento di donazione con argomenti storici, giuridici, linguistici e filologici. Dopo aver dimostrato che Costantino non aveva titolo giuridico per donare possedimenti di territori ed il Papa per accettarli, Valla passa a considerare il dato di fatto che Papa Silvestro, in realtà, non possedette mai province dell’Impero, ne le possedettero per secoli i suoi successori. Ammesso dunque che Costantino avesse fatto la donazione, e Silvestro l’avesse accettata, che fine avrebbero fatto i possedimenti della Chiesa, dato che per tanto tempo non risulta che i Papi abbiano avuto in possesso queste province? Così affermava nell’opera: “Per prima cosa dimostrerò che Costantino e Silvestro non erano giuridicamente tali da poter legalmente l’uno assumere, volendolo, la figura di donante e poter quindi trasferire i pretesi regni donati che non erano in suo potere e l’altro da poter accettare legalmente il dono (né del resto lo avrebbe voluto). In seconda istanza, dimostrerò che anche se i fatti non stessero cosí (ma sono troppo evidenti), né Silvestro accettò né Costantino effettuò il trapasso del dono, ma quelle città e quei regni rimasero sempre in libera disponibilità e sotto la sovranità degli imperatori. In terza istanza dimostrerò che nulla diede Costantino a Silvestro, ma al papa immediatamente anteriore davanti al quale Costantino era stato battezzato; furono doni del resto di poco conto, beni che permettessero al papa di vivere. Dimostrerò (quarto assunto) che è falsa la tradizione che il testo della Donazione o si trovi nelle decisioni decretali della Chiesa o sia tolto dalla Vita di Silvestro: non si trova né in essa né in alcuna cronaca, mentre invece si contengono nella Donazione contraddizioni, affermazioni infondate, stoltezze, espressioni, concetti barbari e ridicoli. Aggiungerò notizie su altri falsi o su sciocche leggende relativamente a donazioni di altri imperatori …” - ''Elegantiae Latinae linguae'' (1444) capolavoro di Valla nell'opera di ripristino della lingua latina; tratto scritto con lo scopo di definire e documentare il modello di latino classico rappresentato da Cicerone e da Quintiliano, contro le degenerazioni nell’uso del latino da parte degli scrittori medievali, ma anche contro le approssimazioni dei primi umanisti. '''Opere minori''' ''De libero arbitrio'' (1439) ''De professione religiosorum'' (1439) ''Historiarum Ferdinandi Regis Aragoniae libri tres'' (1447) ==Il pensiero== Valla, come si è detto, è autore anche di opere filosofiche; tra le più note e impegnative vi è il dialogo De voluptate (‘Il piacere’), testo più volte rimaneggiato e apparso nella redazione definitiva con il titolo De vero falsoque bono (‘Il vero e il falso bene’) nel 1441. Il dialogo discute la nozione etica di “piacere” attraverso il confronto fra tre grandi dottrine: stoicismo, epicureismo e cristianesimo. Il tema è centrale nella concezione umanistica poiché affronta il problema teorico di quali siano i principi che devono ispirare il comportamento degli uomini. Redazione dopo redazione, Valla apporta significative modifiche al testo: cambia i personaggi e l’ambientazione, elimina le parti in cui erano esposte questioni teologiche spinose (come ad esempio la verginità della Madonna), riduce l’accentuato “epicureismo” iniziale. Nonostante le modifiche e le attenuazioni, l’opera conserva una forte carica polemica contro l’ascetismo e la vita monastica, contro ogni forma di svilimento del corpo, di separazione fra ciò che è carnale, materiale da quanto invece è spirituale. Valla sostiene che anche nel cristianesimo la voluptas, il piacere, ha un ruolo determinante poiché, se esiste una vita ultraterrena, essa non sarà riservata solo alle anime ma anche ai corpi. Perciò egli propugna con forza la bontà della natura e della vita, ritenendo la scelta dell’ascetismo non solo anacronistica e quindi impraticabile, ma anche in contraddizione con i presupposti del cristianesimo. Nell' opera "Elegantiae latinae linguae libri sex" Valla esprime le sue considerazioni sulla lingua latina ed appare evidente che essa sia considerata oramai come una lingua morta, diversamente dall'epoca medievale. I modelli di riferimento della stessa vengono identificati nel latino classico di Quintiliano e di Cicerone. Si cerca così di ripristinare il latino dell'epoca classica, epurandolo dalle degenerazioni medievali. Anche in ambito linguistico sono evidenti i tentativi di emulazione dell'epoca classica, caratteristica fondamentale dell'intellettuale rinascimentale. ==Elementi di laicità== Si può notare come in ambito filologico, Valla sviluppi un procedimento atto a riscoprire la versione autentica delle opere classiche, confrontando versioni differenti della stessa opera, per correggere eventuali errori di trascrizione ed epurare i testi dalle manomissioni amanuensi. Questo procedimento filologico venne adoperato da Valla anche nello studio delle Sacre Scritture, sottoposte per la prima volta al vaglio critico della ragione. Questo approccio laico permise di scoprire errori e travisamenti nella stessa Vulgata di San Girolamo e soprattutto mostrò la falsità del documento che sanciva l’origine del potere temporale dell’istituzione ecclesiastica, come viene affermato all'interno dell'opera De falso credita et ementita Constantini donatione. In questo modo Valla assume le caratteristiche dell'intellettuale moderno, un uomo curioso, aperto, eclettico e svincolato dalla Chiesa che si rapporta con il mondo utilizzando un metodo scientifico e razionale. Un elemento che distanzia Valla dall’ideologia cristiana medievale risiede nel procedimento razionale tipico degli autori filologi: la ripresa dei testi antichi e la loro analisi razionale svincolata dalla morale religiosa, rendono la filologia un nuovo strumento di verità; essa si configura, in qualche modo, come la ricerca di legame che colleghi il mondo latino con quello rinascimentale, non assoggettandosi tuttavia alla rigida concezione figurale: grazie ad essa, di fatti, si tentò una “riconciliazione” tra il mondo cristiano e quello pagano, visto come figura e anticipazione della venuta di Cristo. Dall’epoca rinascimentale in poi, il mondo classico si delineerà solo come modello di ispirazione ed emulazione, alla base di una trasformazione dell’uomo medievale in uomo moderno. La laicità di Valla si esprime in virtù dell’essere un perfetto uomo rinascimentale: in una dimensione antropocentrica, egli si discosta dai valori della moralità cristiana in imitazione e ripresa del pensiero razionale e scientifico dei latini e, sulla base di modelli classici, si proietta nel futuro, al fine di garantire il vantaggio dell’uomo del mondo.
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